C.f.n.m. ai tempi delle antiche popolazioni... una cosa normalissima...
Percorrendo ai nostri giorni le sale di un museo di arte antica, sembra naturale ammirare statue raffiguranti i personaggi maschili e femminili del variegato mondo dell'antichità, dalla mitologia alla storia, dalla religione alla cultura, plasmate dalla sapienza degli scultori nelle differenti pose, colte ciascuna in una particolare gestualità che ne caratterizzava in origine ruolo e funzione all'interno del più complesso sistema di rappresentazione del luogo per il quale erano state concepite. Sembra ancora più naturale ammirarle indifferentemente nella loro nudità o nel loro essere abbigliate, quasi che le due visioni abbiano sempre fatto parte dell'immaginario artistico, laddove in realtà le due versioni, figura nuda e figura vestita, hanno genesi e valenza ben distinte.
Se nell'arte di epoca romana pare già sfumata la matrice di una così palese dualità, essendo il campionario scultoreo eterogeneo e ricco di temi e valori che affondano in gran parte le loro radici nel sistema della civiltà greca, è proprio in quest'ultima che vanno ricercate le ragioni della necessità di tradurre in forma artistica immagini apparentemente frutto della semplice creatività, del gusto o della moda, in realtà espressione di una cultura che soprattutto attraverso le immagini ha costruito il suo discorso sull'uomo.
Tra i popoli dell'antichità, infatti, i Greci furono i primi, se non gli unici, che posero al centro della propria esperienza l'uomo "misura di tutte le cose" : La figura umana è l'oggetto pressoché costante dell'immaginario greco e il corpo umano il tema privilegiato della riflessione.
L'intera cultura greca è costruita in funzione dei valori della persona, che viene identificata col suo corpo. La rappresentazione della figura umana diventa il problema centrale e il principale interesse dell'arte greca, e della scultura in particolare. Tra la fine dell'VIII e il VII sec.a.C. le prime manifestazioni della piccola plastica già denotano interesse nella direzione della ricerca dei volumi, della fisicità e del movimento. Con la comparsa del tempio, in sostituzione del santuario domestico, e con la conseguente ricerca di soluzioni monumentali nell'architettura e nella relativa decorazione si sviluppa la grande statuaria. Il processo evolutivo della plastica comincia a ruotare intorno a un solo grande motivo, quello del corpo nudo, nella sua versione armoniosa e fiorente.
La nudità viene costruita sul corpo umano come una veste che avvolgendolo supera i vincoli legati al pudore e ne esalta piuttosto la valenza culturale, sociale e politica. La nudità è intesa come un vero e proprio abito indossato dai Greci per autorappresentarsi. Il corpo umano, nella sua forma più esplicita e analitica, diviene cioè la rappresentazione di uno status sociale di eccellenza, quello di kalós kai agathós, nel quale la bellezza fisica è soprattutto espressione di areté, la virtù dei migliori per nascita, e il corpo bello e valente non è altro che l'astrazione del corpo nudo del giovane cittadino maschio aristocratico.
Di conseguenza attraverso la nudità l'uomo greco manifesta la consapevolezza di essere "diverso" da ciò che gli è inferiore: il barbaro, lo schiavo, la donna, mentre sul piano civile il nudo diventa prerogativa maschile; e così mentre i kouroi (statue di culto o votive di giovani rappresentati in forma idealizzata) sono sempre nudi, le korai (il corrispondente femminile) sono sempre vestite.
Pertanto, nelle raffigurazioni la nudità femminile è riservata solo a donne considerate ai margini della società civile, alle etere, che partecipano ai simposi maschili. Lo stesso Platone (Rep., V 452 ss.) ritiene che non può esserci nulla di più ridicolo nelle palestre di corpi nudi di donne accanto a corpi nudi di uomini. Nell'arte del periodo arcaico, in quella del periodo severo e per tutto il periodo classico la figura femminile, nella sua rappresentazione suprema, divinità o personaggi della mitologia, è ritratta sempre vestita; solo in alcune eccezioni è raffigurata parzialmente svestita, come nel caso di lapitesse aggredite da centauri, amazzoni combattenti, ninfe insidiate da satiri, menadi colte nel furore estatico, innocenti uccise, ovverosia quando la nudità, resa tutt'al più da un seno scoperto, può meglio esprimere la vulnerabilità della vittima di una violenza.
Nelle immagini del mondo stesso degli dèi, di fatto proiezione di quello umano, è sempre mantenuta la differenza, per cui divinità maschili come Zeus e Apollo sono di norma raffigurati nudi, nello splendore della loro fisicità, mentre di Hera, Afrodite o Artemide, ad esempio, bellezza e femminilità vengono sempre protette e nascoste sotto panneggi più o meno ampi, conformati plasticamente secondo i canoni estetici e formali della visione artistica che li ha generati. Traccia dell'inviolabilità di tale regola è conservata tra le pieghe stesse del racconto mitologico, se si narra che Tiresia fu accecato avendo visto per caso le nudità di Atena mentre la dea era al bagno presso la fonte Ippocrene, o se l'ignaro Atteone, trasformato in cervo da Artemide, morì sbranato dai suoi stessi cani, aizzati dalla cacciatrice divina scorta dal giovane mentre si bagnava a una fonte.
Anche la più sensuale tra le divinità dell'Olimpo ha conosciuto un suo personale percorso legato alla trasformazione dell'idea stessa di bellezza che il suo mito incarna. Afrodite, dea dell'amore e della forza vitale della fecondazione, è simbolo della natura fiorente: la primavera, i giardini, il mirto e le rose sono i suoi attributi e dall'arte greca è stata sempre raffigurata come la personificazione della bellezza del corpo femminile. Tuttavia tale concetto di bellezza, ancora alla metà del V sec.a.C., trova una delle sue manifestazioni artistiche più alte in una grande solenne statua vestita, avendo lo scultore greco Kalamis avvolto la sua Afrodite Sosandra, scultura in bronzo conosciuta attraverso copie marmoree di età romana, in un ampio mantello, secondo una concezione statica dell'intera figura quasi racchiusa in un prisma di cristallina fermezza.
La scultura si presenta con una struttura compatta, estranea alla ricerca del movimento, tuttavia felice punto di incontro nel contrasto tra disciplina formale e intima partecipazione, tra tettonicismo dorico da una parte e spiritualità e morbidezza attica dall'altra. Collocata nei Propilei è ancora celebre nel II sec. d.C., se Luciano (Immagini, 4, 6), appassionato scultore mancato e sensibile conoscitore dell'arte greca classica, si abbandona alla sua descrizione segnalandola come statua di stile severo ma dal sereno e venerando sorriso, completamente avvolta fin sul capo in un mantello dal panneggio semplice e pudico, tanto da consigliare a Pantea, favorita di Lucio Vero, di drappeggiarsi alla maniera della Sosandra.
La statua muliebre di età augustea rinvenuta nella Villa dei Misteri a Pompei raffigurante, abbigliata come austera sacerdotessa, la domina nelle sembianze di Livia, sembra riecheggiare gli antichi valori espressi dall'arte greca classica, recuperati attraverso l'immagine di una religiosità rinnovata: la Pudicitia di donne nobili accanto alla Virtus degli uomini. Nel mondo religioso della romanità Giunone, la divinità protettrice del matrimonio, e Vesta, la pudica protettrice del fuoco di stato, assurgono a modelli della pudicizia muliebre e la casta matrona nella sua matronalis stola è ritenuta come un ideale, sancito, dalla stessa legislazione augustea.
Tornando al periodo greco, in pieno V secolo a.C., a distanza appena di qualche decennio dall'ideale della Sosandra, l'arte di Fidia comincia a liberare dalle pesanti vesti dello stile precedente la fiorente bellezza di Afrodite e nel raffigurarla, nel frontone orientale del Partenone, mollemente distesa in grembo alla madre Dione, ne esalta le forme con un leggero e trasparente panneggio, che aderisce al corpo con effetti di vesti bagnate.
Statua femminile dalla Villa dei Papiri esposta nel Museo Archeologico di Napoli durante la mostra "Storie da un'eruzione"
Nell'ambito della cerchia fidiaca è ancora Afrodite, stando al racconto di Plinio (Storia Naturale, XXXVI, 17), il soggetto della gara artistica tra gli scultori Alkamenes e Agorakritos. Si narra che, avendo perduto, Agorakritos vende la sua Afrodite al demo attico di Ramnunte, e per vendetta ne cambia il nome in Nemesi. La statua, ispirata all'Atena Parthènos fidiaca, rispetto al modello del maestro risultava ancora più animata e flessuosa nel portamento giocato sul trattamento vibrato del ricco panneggio e sul ritmo dell'appoggio laterale a un pilastrino: si è creduto di riconoscerne due copie, derivate dallo stesso tipo, nella Demetra del Museo Vaticano e nella Hera Borghese di Copenhagen. La figura femminile della pregevole scultura in marmo pentelico rinvenuta in anni recenti nella Villa dei Papiri ad Ercolano trova riscontri proprio nelle copie dell'originale di Agorakritòs.
Nella statua ercolanense la figura femminile, vestita di peplo e himation, è concepita per essere contemplabile da ogni lato: disegna nello spazio, sia nella visione frontale che in quelle laterali e posteriore, un'elegante linea sinuosa che partendo dal luminoso volto rallenta il ritmo discensionale sulla curva morbida del fianco destro, cui fa da contrappunto il bell'omero sinistro, e prosegue infine lungo le preziose trasparenze sulla gamba sinistra. Il chiasmo delle membra si esprime con grande naturalezza e la statica dell'insieme è data dall'appoggio su pilastrino del braccio sinistro piegato, reso con morbido abbandono e completato dall'espediente del virtuosistico gioco delle pieghe dell'apóptygma rimboccato, che sul lato crea pendant col sistema delle vesti.
Alla verticalità del doppio registro del ricco panneggio nella parte inferiore del corpo, verticalità interrotta solo dai vibranti volumi della gamba flessa, corrisponde il motivo a V delle pieghe nel mezzo del petto, che scivolano seguendo il movimento laterale del fianco. L'intera composizione si pone come opera di alto artigianato, prodotta da un atelier neoattico operante negli ultimi decenni del II sec.a.C. e voluta dal colto proprietario della Villa dei Papiri per nobilitare ulteriormente la già ricca collezione di opere di scultura.
Alla metà del IV sec. a.C. l'immagine della dea Afrodite conosce un cambiamento rivoluzionario assumendo caratteristiche più vicine ai costumi, ai vezzi e alle fragilità del mondo dei mortali. Alla sua umanizzazione corrisponderà il suo denudamento, ad opera dello scultore Prassitele, e ciò rappresenta forse il segno più evidente delle profonde trasformazioni in corso nel mondo greco, nella sfera politica, culturale, religiosa, spirituale.
L'Afrodite Cnidia, l'opera più celebre del maestro della charis, aprirà la strada alla nutrita serie delle Afroditi nude dell'arte ellenistica, nelle quali il tono sensuale delle varie raffigurazioni sancirà la trasformazione dal carattere sacro dell'amore in quello più terreno del desiderio amoroso. Si sta delineando il nuovo orizzonte ellenistico: il tabù che aveva accecato Tiresia e annientato Atteone è caduto definitivamente, e il nudo è ora solo il bell'involucro che nasconde un mondo nuovo, quello dei sentimenti, tutto da esplorare.
Buona Lettura !!!
Saluti...